Libri piccoli o piccoli libri?

Per esperienza diretta posso dire che spesso libri di piccole dimensioni sono risultati dei libri bellissimi, non ne so spiegare con precisione il motivo, forse la concentrazione che non concede alibi, scrivere di quello con quelle precise parole, il gesto che si mantiene fresco, le parole che vengono dosate. Bastano due esempi come Lettera a D. di André Gorz e L'amico ritrovato di Fred Uhlman, senza parole. Si capisce che ho un'inclinazione particolare per i libri piccoli, anche se non significa poi molto, contano le necessità del raccontare più della lunghezza, viene prima di tutto la necessità che sia un libro riuscito e che riesca ad esserlo. Però sembra che agli editori non piacciano particolarmente, non so se è dovuto a questioni meramente economiche, ma i grandi best-seller sono sempre dei libri grandi e grossi, raramente sono dei grandi libri. I lettori sembrano seguire questa tendenza, o forse viene loro imposta a colpi di pubblicità, però spesso al mare gli ombrelloni servono a fare ombra a volumi che occupano un sacco spazio e che mai verranno conclusi alla faccia dei capolavori che sono. I grandi capolavori del passato sono spesso dei bei volumoni, sarà per emularli che i nostri grandi scrittori di oggi ne ricalcano l'aspetto esterno? Mi sembra più adatto al nostro modo di vivere oggi il gesto breve, veloce, ma che sia intenso, in questo sta l'emulazione dei grandi, non nelle dimensioni, non nell'aspetto esterno (che proprio coi libri non dovrebbe avere alcuna relazione), nessuno può mettere in dubbio che nel libro contino i contenuti, la qualità e non la quantità, nel lavoro nella tv ecc. chi se ne frega, ma nei libri è così. E allora finiamola con quelle inutili fascette di carta con su scritto "il libro che ha commosso il mondo" o quante copie (dati senza alcuna verifica) ha venduto. Lasciateci un po' di cervello per leggere a fatica qualche buona pagina.

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